Quello del Gran premio del Belgio è il weekend della nostalgia. Non si può pensare a Spa Francorchamps senza che i pensieri tornino indietro di oltre trent’anni, al giorno del primo incontro con Michael Schumacher.
Era il 1991, fine di agosto perché allora la gara belga si correva a fine estate. Michael lo avevo già incontrato a Monza, quando aveva gareggiato con la Mercedes nel Mondiale Endurance. Un ragazzo educato con un solo pensiero in testa: correre.
Fu durante quel weekend belga che il mondo capì quanto era forte. Una sessione di qualifica da fenomeno con la Jordan, su una pista che scoprimmo poi non aveva mai visto se non per averla girata in bici, gli bastò per aprirsi le porte della Formula 1, anzi per far litigare due squadre per averlo.
Per ingaggiare Ollie Bearman dopo il suo straordinario esordio a Gedda, non ha litigato nessuno e questo è un segno dei tempi, di team manager che non hanno il coraggio di Eddie Jordan e i consiglieri di Flavio Briatore (Ross Brawn e Walkinshaw che conoscevano bene quel ragazzo tedesco). Quando vedi ancora in pista Sargeant, Bottas, Magnussen, lo stesso Zhou (per non dire di Perez) qualche domanda te la fai…
Chissà che Toto Wolff, aprendo la strada a Antonelli non dimostri di avere quel coraggio. Comunque è significativo che ad averlo avuto negli ultimi anni siano stati soprattutto i grandi team, scegliendo però di affidare i ragazzi alla scuola guida di un team minore. Alludo a Verstappen e poi a Leclerc o a Russell. Solo la McLaren si è tenuta Norris fin dall’inizio.
I ragazzi di talento ci sono, ma i piccoli team badano al budget prima di tutto e, senza la possibilità di svolgere del test, non rischiano di mandare in pista un debuttante se dietro non c’è qualcuno che paga per lui.
E poi 20 posti sono pochi. Oggi che a parte Alonso, Hamilton lo schieramento è mediamente molto giovane non è che ci sia tanto spazio per sperimentare. C’è la Formula 2, è vero. Ma se poi chi vince non ha uno sbocco che senso ha?
Aumentare il numero dei team? È una soluzione. Due posti in più. Costringere i team minori ad avere in squadra almeno un giovane? Sarebbe impossibile. A qualcosa però la Formula 1 deve pensare per non rischiare di bruciare delle generazioni di piloti.



Kimi antonelli a tutte le caratteristiche per diventare un campione, ma deve anche avere il tempo di crescere.